Big Magic di Elizabeth Gilbert è un libro che dovrebbe, come da titolo far riscoprire la propria vena creativa.
Parto subito dicendo che a me non è un titolo che ha entusiasmato molto.
Ho provato a leggerlo circa un anno fa, la prima volta…
Credo di averlo iniziato almeno sei volte e ogni volta non riuscivo ad andare oltre a pagina 70 poi…
Quest’estate mi sono fatta coraggio e con non poca fatica l’ho finito.
Una sfilza di facilonerie all’americana maniera, sparate tutte una dopo l’altra, sono troppe per me.
Così mi sono fatta coraggio, ho preso atto della situazione e togliendomi il cilicio mentale con il quale avevo avvolto la mia testa faccio coming out e ti dico che a me sto libro proprio non è andato giù.
Aspetto critiche sul fatto che sto stroncando un bestseller, ma… DISCLAIMER!!!!
!!!!!ATTENZIONE!!!! Questa non è una recensione!!!
Vorrei porre l’attenzione su un’altra cosa, la corrente che ci porta a fare e a pensare una certa cosa piuttosto che un’altra.
La prima volta che ho sentito tesser le lodi di questo testo è stato più di un anno fa, l’argomento era super interessante e ho fatto l’acquisto così quasi senza pensare (quando si parla di libri penso sempre che mi corto circuiti qualcosa nel cervello, qualcosa che mi trasforma in un Gollum e mi fa dire “è mmmio!!! è il mmmio tesssoro!!!!”).
La copertina, splendida, non ha aiutato a farmi demordere dall’acquisto.
Così, come ho detto prima, ho iniziato a leggere.
La prima volta. Poi c’è stata la seconda, poi la terza, poi ho perso il conto.
Mi sentivo in colpa! Ma chi sono io per dire che a me sto libro non comunica niente?
A un certo punto mi sono risposta, sono una persona, non sarò un’esperta ma ho letto e apprezzato tutti i libri della Gilbert e come la maggior parte delle persone che parla di questo libro e ne tessono le lodi credo anche io di aver il diritto di dire la mia.
La capacità di staccarmi dal pensiero comune e di pensarla come voglio senza farmi influenzare era una cosa che latitava da un po’ qui dalle mie parti, non so dalle tue…
Il riappropriarmi della mia unicità, della criticità di pensiero indipendente e a volte anche laterale è un processo che ho iniziato quando ho deciso di intraprendere questa strada e di cambiare lavoro.
Piano piano un passo alla volta sto scoprendo parti di me che non conoscevo, altre che dormivano e si sono risvegliate, stupendomi piacevolmente.
Ecco ora che mi sono tolta il mio sassolino dalla scarpa posso dirti di cosa ho fatto tesoro da questa lettura.
La perseveranza.
Gilbert mi trova d’accordo sul fatto che continuando nel proprio intento si instauri un’abitudine che nel tempo ci porta comunque a diventare esperti in quello che ci siamo prefissati di fare.
La motivazione è il carburante per partire, la perseveranza, unita alla disciplina, è quello che ci fa continuare quando la motivazione finisce.
Classico è l’esempio dell’atleta che si sveglia ogni mattina e va ad allenarsi.
Pensi che ne abbia sempre voglia?
Non credo proprio.
Però è abituato. Persevera nel suo obiettivo senza demordere e sarà proprio il giorno in cui, senza voglia, si metterà lo stesso le scarpe e uscirà ad allenarsi che lo farà andare lontano.
Come dice Stephen King “il talento da solo vale poco. Ciò che separa il talentuoso dalla persona di successo è il duro lavoro”.
Questo duro lavoro ha anche una buona base di perseveranza.
È possibile far diventare la perseveranza un’abitudine?
Dipende.
Implementare un’abitudine nel nostro sistema di routine già ben consolidato non è per nulla facile.
Sradicarne altre per certi aspetti è anche peggio.
Ma iniziando a capire chi vogliamo diventare o cosa vogliamo ottenere ci mette sulla buona strada per scegliere quali abitudini potenziare, quali creare e quali eliminare.
Una volta fatto questo processo di scelta possiamo iniziare con un passo alla volta.
Scegliendo una cosa sola da cui partire, concentrandoci solo su quella piccola azione per un determinato periodo di tempo fino a farla diventare indispensabile.
Una volta che sarà diventata indispensabile il nostro cervello farà il resto per automatizzarla e allora sarà fatta.
È molto più facile per la mente automatizzare una piccola cosa rispetto ad una grande, pensa a quando hai imparato a guidare, i nostri quattro arti fanno quattro cose diverse contemporaneamente senza un pensiero cosciente.
Questo processo non è avvenuto da un giorno all’altro, ma da consapevole è diventato automatico, prima ha iniziato il piede sinistro con la frizione, poi la mano destra con la leva del cambio e così via…
Per fare questo però qualcuno ce lo ha insegnato.
Ed è qui che la Gilbert non mi trova d’accordo.
Per lei studiare non serve a molto, per me avere almeno le basi è fondamentale, non ci si può improvvisare sempre e comunque, anche nell’arte.
Nemmeno io sono una fan dei titoli accademici ad ogni costo (in Italia poi ci vuole un corso anche per allacciarsi le scarpe), ma almeno le basi saperle.
Cara Elizabeth penso che qualcuno ti abbia insegnato a scrivere a leggere e ad usare la grammatica, altrimenti come avresti fatto ad iniziare quello che poi per te è diventata la missione della tua vita?
Io non so disegnare e se volessi imparare domani mattina a fare ritratti di volti di donna non saprei da che parte girarmi.
Qualcuno che mi dica come fare ahimè mi serve e nel posto in cui vivo lo potrei fare solo attraverso dei corsi.
D’altronde anche l’autrice conviene con me nell’affermare che la scuola insegna la disciplina che come detto sopra è fondamentale per coltivare un talento o un’attitudine.
Come vedi anche in questo articolo ho parlato di abitudini, perché credo fermamente che siano la base per far diventare realtà i nostri sogni.
Il cambiamento, se lo vogliamo, inizia sempre da noi con un piccolo passo che può portare a grandi risultati.
Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi scoprire con me il “magico mondo delle abitudini” ti invito a iscriverti, se non lo hai già fatto, alla mia Newsletter “Imbolc” dove ogni mese ti racconto come trasformare i tuoi sogni in realtà.
Grazie per essere arrivata a leggere fino a qui.
Alla prossima <3